Arroccata a 1.460 metri di altitudine, la Rocca di Calascio è una delle icone più suggestive dell’Abruzzo interno. Con il suo profilo inconfondibile che domina il paesaggio del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, rappresenta un esempio straordinario di architettura militare medievale perfettamente integrata nella natura.
Probabilmente pur essendo già presente il torrino in epoche precedetni, la prima menzione documentaria di Rocca Calascio compare nello statuto della riparazione dei castelli voluto da Federico II tra il 1242 e il 1246, secondo il quale gli abitanti della rocca potevano contribuire alla riparazione del castello demaniale di Leporanica, mentre il primo riferimento inequivocabile all’esistenza di una struttura fortificata risale solo al 1423, quando nei capitoli della dedizione della città dell’Aquila a Luigi III d’Angiò si fa chiaramente riferimento ai castra di Carapelle, Santo Stefano e, appunto, Rocca Calascio.
Non sappiamo con certezza se il castello attuale sia sorto sulle rovine di una fortificazione precedente, ma è probabile che la sua funzione difensiva e di controllo dei pascoli fosse già in atto nel tardo periodo svevo e in quello angioino. Scavi archeologici condotti nel borgo antistante hanno infatti riportato alla luce ceramiche riferibili a questi secoli, testimoniando una frequentazione stabile legata all’economia della transumanza.
Fu però tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento che la Rocca assunse l’aspetto imponente che ancora oggi ci affascina. In quel periodo, grazie alla crescente importanza della pastorizia e all’investitura della nobile famiglia senese dei Piccolomini della Baronia di Carapelle, la struttura fu ampliata e trasformata: alla torre originaria venne aggiunta una cinta muraria con quattro torri circolari agli angoli, dando vita a un sistema difensivo ancora più solido, capace di resistere meglio a eventuali attacchi o assedi.
Nel 1579, l’ultima erede dei Piccolomini, Costanza, fu costretta a cedere la Baronia al Granduca di Toscana Francesco I de’ Medici. Sotto la dinastia medicea, il territorio visse un periodo di notevole prosperità, favorito dalla centralità economica della pastorizia transumante e dal commercio della lana, attività che coinvolgevano anche la Rocca come punto strategico.
Il paese di Rocca Calascio, Comune autonomo fino alla metà dell’Ottocento, conobbe poi un destino di declino e progressivo abbandono, a causa delle difficili condizioni di vita, della mancanza di acqua, raccolta solo nelle cisterne situate sotto le case, oltre che al generale declino dell’attività pastorale.
La Rocca rimase per molto tempo in stato di rovina, vegliando in silenzio sul paesaggio montano circostante. Solo a partire dagli anni ’80 del Novecento, grazie all’interesse crescente per i beni culturali e paesaggistici, la Rocca di Calascio è stata riscoperta e valorizzata. La sua straordinaria bellezza l’ha resa protagonista di numerose produzioni cinematografiche, diventando uno dei luoghi più suggestivi del panorama italiano.
Oggi, la Rocca di Calascio è molto più di un monumento. È una finestra sul passato, un potente simbolo di identità culturale, una meta di viaggio tra storia, natura e suggestione. Visitandola si percepisce ancora il senso di vigilanza e protezione che per secoli ha custodito le genti e i pascoli d’alta quota. Un luogo da vivere, da raccontare, da custodire.
Il suo recupero e la sua valorizzazione rappresentano un’importante opportunità per la rigenerazione culturale e turistica dell’intero territorio.